Essere gentili.
Ho preso a prestito una vignetta dei Peanuts perché loro con gentilezza ci fanno riflettere, senza urlare, senza parolacce, senza modi bruschi.
Per me la gentilezza è una virtù importante. Non è solo buona educazione.
Mi sono resa conto che alcuni non mi credono o non mi hanno creduto, ci leggono un secondo fine. Bé è un atteggiamento che tende a mettere l'altro a suo agio e a non attaccare perché a sua volta non viene attaccato. Sicuramente è un modo di porsi e anche di difendersi. Ma non potrebbe semplicemente essere un modo di essere?
Porta con sé un tranello: potrebbe essere frantesa ulteriormente con debolezza, come un'autorizzazione ad essere calpestati. Per me è un fatto reale, accaduto più volte. Ma sto imparando a correggere la rotta, in modo da non autorizzare prevaricazioni.
Perché la prima persona con cui essere gentile sono me stessa. Se autorizzo me stessa ad esistere, ad avere diritti, con gentilezza, anche al di fuori di me questa cosa si percepisce e produce effetto.
L'origine della parola "gentilezza" indica l'appatenenza ad una famiglia con capostipite comune, o ad una razza.
Quel senso di appartenenza è capace di
contemplare un reciproco rispetto, un reciproco interesse. Una
considerazione dell’altro come parte della propria esistenza, con una qualità di presenza che garantisce l’incontro fra due persone. Una presenza affettiva ed ugualmente autorevole, dove il mio esistere non può in alcun modo penalizzare il tuo, dove i miei “no”, consapevolmente espressi non pregiudicano
la relazione. Uno spazio della relazione dove è possibile affermare i diritti senza cadere in stati di subordinazione.
Dire "mettiamoci nei panni degli altri" è solo un detto. Non avviene realmente.
Consideriamo adesso lo spazio dell’unicità dell’altro. Uno spazio in cui l’accoglienza dell’altro determina la cura e l’attenzione che io userò nei suoi confronti affiché produca il miglior risultato, sul piano dell’efficienza e della funzionalità, ma anche nel rispetto del piano relazionale. Vorrò così conoscere le differenze, le preferenze fra il mio stile e quello del mio interlocutore, vorrò accettarle e rispettarle, proprio per rendere il tutto più fluido e funzionale nel reciproco interesse e in quello ultimo del risultato a cui desidero arrivare.
Per quanto io possa impegnarmi in
questa direzione una considerazione importante riguarda la
consapevolezza del fatto che mi rapporto con l’altro, sempre e comunque, partendo dall’idea che ho di lui. Infatti ci saranno comunque i miei filtri personali che interverranno nella “mia” percezione di chi mi sta di fronte, ci sarà sempre un non conosciuto da me che merita rispetto, attenzione consapevole e gentilezza.
"Il perno profondo della gentilezza è la presenza. Una presenza all’altro, un rispetto dell’altro, un riconoscimento dell’altro" (Luce Irigaray nel suo libro “Amo a te”):
“Io non ti so”.
Ti ascolto, percepisco ciò che dici, vi sono attento, cerco di sentire in quello che dici, la tua intenzione. Con attenzione a te e con consapevolezza su di me.
Ti ascolto non solamente a partire da ciò che so, che sento, che sono già.
Ti ascolto come la rivelazione di una “verità non ancora manifestata”. La tua!
Consideriamo la presenza sostanza e strumento della gentilezza vera, per qualità, dignità e connessione della relazione con sé stessi e con gli altri. La presenza, un’attenzione
deliberata rivolta ai 3 livelli, il corpo, le emozioni e i pensieri
della persona, sempre nella consapevolezza del contesto in cui si
manifestano, può così divenire qualità dell’essere che si innesta in un “fare”.
La gentilezza comprende l'assertività, diviene vera e propria pratica della presenza, di un’attenzione sottile “che tende” a ciò che esiste proprio ora, nello spazio intra-personale e inter-personale E' AT-TENZION = tensione da sé all'altro. Muovendosi da sé all’altro.
E' una diversa modalità di esistere, di abitare sé stessi
e di connettersi con gli altri, "una virtù a servizio dell’esistere (…): nella
considerazione dei suoi talenti, nella presa in carico e cura delle sue
sensazioni, emozioni e pensieri, nella determinazione dei suoi
obiettivi, nella connessione con le altre persone" (cit. N.Cinotti).
E' vicino a quel "farsi UNO" che tanto piaceva a Chiara Lubich.
«Io vorrei essere uno con tuo pianto, uno col tuo canto, sì perché in fondo alla mia vita prima di me ho messo te». (Gen Rosso)
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