venerdì 18 dicembre 2015

Empatia = sentire in/con

Ciao amici del team Libera la Voce e quanti seguono il mio piccolo blog.
Oggi vorrei scrivere due righe sull'empatia perché questa parolina che deriva dal greco εμπαθεία "en" +" pathos" ("in", insieme e dentro + "soffrire", e sentire) mi sta facendo arrabbiare.
Non sono empatici quelli che manipolano. Non mi piacciono. Non sono per forza cattivi. Ma sono conoscitori di tecniche che fanno sì che tu faccia quello che vogliono, tecniche ben note anche ai media: provate a sostituire il nome di un prodotto con la parola "amore" e vedete che cosa cambia...
Non sono empatici quelli che dicono "oh come sento su di me quello che provi tu". Forse sentono davvero, ma sono cretini. Ci sono passata, quando ero molto debole, dopo l'esperienza di pre-morte. Se soffro del tuo stesso dolore: oh sì lo capisco ma non ti sono di nessun aiuto.
Non sono empatici quelli che dicono che si mettono nei tuoi panni. Quelli che lo dicono non lo fanno. Quelli che lo fanno sono invadenti.

Lo studioso di estetica dell'800 Robert Visher coniò questo termine intendendo la capacità di percepire la natura esterna come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Proietta i sentimenti da noi agli altri e alle cose.  

Cito la Treccani: «in psicologia, in generale, la capacità di comprendere lo stato d'animo e la situazione emotiva di un'altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale».


Capito? la vera empatia non necessita di tante parole. Ma di vicinanza del cuore.
Concretamente. E' il "farsi uno con l'altro".
Cito Chiara Lubich: «Il farsi uno abbraccia tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell'amore. Vivendo così si è morti a sé stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento spirituale. Si può raggiungere quel nulla di sé cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d'amore che si realizza nell'atto di accogliere l'altro. Si dà spazio all'altro, che troverà sempre un posto nel nostro cuore. Farsi uno significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente. La pratica di farsi uno con gli altri non è una cosa semplice. Essa richiede il vuoto completo di noi: togliere dalla nostra testa le idee, dal cuore gli affetti, dalla volontà ogni cosa, far tacere persino le ispirazioni, perdere Dio in sé per Dio presente nel fratello per immedesimarci con gli altri. Quando, nei primi tempi del movimento, parlavo con qualche persona che desiderava confidarsi con me, mi esercitavo a lungo - dato che sarebbe venuta subito una certa qual risposta -, a spostare le mie idee, finché lei avesse potuto svuotare in me la piena del suo cuore. E, così facendo, ero convinta che alla fine lo Spirito Santo mi avrebbe suggerito proprio quello che dovevo dire. Perché? Perché dato che, facendo il vuoto, io amavo, egli si manifestava».http://www.cittanuova.it/public/index.php?page=c&id=548

4 commenti:

  1. Concordo con e apprezzo soprattutto le TUE parole, sentite, vive e vibranti. Personalmente scivolo sulle ultime righe della Lubich, ma alla fine comunque lo si chiami la sostanza non cambia, giusto?
    E nel leggere questo post ho trovato un altro argomento di cui amerei discutere con te :). In lakec, buon cammino. Cristina

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    1. grazie cara Cristina, buon cammino anche a te! Aggiungo la spiegazione della mia cara amica e insegnante. Dimmi dimmi tu, bello che ci sentiamo in sintonia. Ultreya!

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  2. Valentina Sanna: «Non amo la parola "empatia", proprio perchè il suo significato è quello del suo inventore: sentire una cosa esterna come interna. Infatti questa definizione non coincide con quella della treccani "comprendere", nè con la definizione di Chiara "farsi uno". Io non posso sentire quello che tu senti, per il semplice fatto che le due esperienze non sono confrontabili in nessun modo, nemmeno se ho avuto lo stesso problema. Perciò posso comprendere, posso sintonizzarmi, posso accogliere, posso abbattere le mie barriere (non certo le tue) per rendere possibile l'unità per ciò che è in mio potere. Posso sentire che tu sei nella tristezza o nella rabbia, ma non posso sentire la tua tristezza e la tua rabbia. Le tue emozioni fanno risuonare le mie, e io sento le mie. L'empatia è un "come" o anche un "come se", cioè una maschera, proprio ciò che tu Angelica senti falso».

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  3. a chi mi chiede se è simile a "compassione" ahimé è ancora diverso: compassione deriva dal greco συμπἀθεια e vuol dire percepire la pena dell'altro e provarne pietà e desiderio di alleviarla.

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