martedì 3 ottobre 2017

«Sì, Sì» «No, No»

… dire è bellissimo, specialmente quando è detto con consapevolezza. Lo è se èvero, e non per far star zitta una persona insistente. Il è meraviglioso - per esempio nelle nozze - perché dichiara l’accettazione che nasce da una scelta.
Spesso non diciamo di no per la paura che questo comporti il non essere amati.
Anche dopo che l'abbiamo detto ce lo rimangiamo, rinunciamo al nostro no perché timore di sentirci in colpa. Il che ne deriva non è accettazione, ma rinuncia. «Il primordiale senso di colpa nasce dal sentire di non essere amati. L’unica spiegazione che un bambino può dare è di non meritarsi l’amore». (cit. A. Lowen)
Con la corenergetica si fanno tanti esercizi accompagnati da “sì” e “no”. Le accompagniamo con esercizi e movimenti perché hanno - così mi pare - una radice corporea. Spesso le persone trovano imbarazzante tornare a quei gesti, a quelle parole, a quei suoni che associano ai bambini. Preferiscono comportarsi da bambini nella vita reale, piuttosto che far crescere la loro parte bambina nella palestrina, o in uno spazio protetto di lavoro su di sè. Eppure l’accettazione significa anche e soprattutto questo: partire da dove siamo e scoprire che possiamo andare in tutto il mondo!
A volte ci sentiamo presi da due correnti opposte. Abbiamo l’impressione che una parte di noi che rema contro, per auto-sabotarci per esempio con una piccola – o almeno apparentemente piccola – dimenticanza. Moltissime volte, almeno per me. Volte in cui ho perso un biglietto aereo, altre in cui ho perso le chiavi  Perché? forse siamo consapevoli del gioco che vogliamo giocare con la volontà ma non siamo consapevoli di quello che vuole la nostra parte che va in ansia. Quella che ripete sempre gli stessi errori. Quella che vorrebbe essere vista ma che ha, anche, paura di mostrarsi.
Così potremmo facilmente dire, in molte occasioni, che ci sono due giocatori. Quello che fa il gioco della volontà e quello che fa il gioco inconscio. E che, spesso, non sappiamo chi gioca meglio. A volte ci sabotiamo con la volontà, altre volte con l’inconscio.
Perché?
I bambini quando giocano da soli fanno parlare i loro personaggi. A volte si raccontano che cosa stanno facendo: c’è una parte più grande che guida un’altra parte che sta crescendo. La parte “grande” ha l'aspetto del genitore interno. «Le regole di quel genitore magari non sono ancora le regole del bambino ma lui le sta introiettando e se le ripete così, dando voce ai personaggi del gioco. O raccontandosi sommessamente cosa deve fare» (cit. B. Cinotti).
Anche per gli adulti è così, solo che questa voce interna è diventato il nostro giudice interiore, spesso molto severo.
C'è ancora un altro aspetto di divisione: spesso separiamo la mente dal corpo. Per essere più produttivi. Per trattare il dolore emotivo che, altrimenti, potremmo temere di non poter sorreggere. Perché mettiamo il  pilota automatico.
Quindi i giocatori - della nostra stessa partita - sono due o anche di più.
Non c’è bisogno di scegliere tra un giocatore e l’altro. Basta essere consapevoli della presenza di entrambi e, soprattutto, smettere di usare l’autocritica per imparare qualcosa di nuovo.
È un metodo che non funziona: è ufficiale
«Costruiamo muri dietro ai quali nascondersi, per proteggerci dall’essere feriti, per tenere dentro il nostro dolore. Sfortunatamente questi muri ci imprigionano». (Alexander Lowen)
Ci imprigioniamo da soli! (continua)
Anzi, per citare "Galline in fuga": «la gabbia è nella nostra testa!» (dice la gallina rossa e ribelle)


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